La maggior parte d’Italia si affaccia sul mare. Sono in molti a gestire ombrelloni e cabine. Molti a guadagnarci, da anni. Lo spazio c’è, anche per nuovi imprenditori, infatti la nostra penisola è costituita da 7.500 km di coste. Con angoli di paradiso ancora da valorizzare. E fare business. Le nostre spiagge oggi sono la location di 28mila imprese balneari, dal chiosco minimale al bagno con gazebi di design e il Wi-Fi dappertutto. Attività nate in famiglia, che sempre più spesso diventano aziende in grado di occupare decine, centinaia di persone. D’estate. Ma in molti casi, per tutto l’anno.
Nell’ultimo decennio il loro numero è cresciuto costantemente, con migliori performance al Sud. Liguria e Toscana, Friuli, Veneto ed Emilia-Romagna hanno una tradizione balneare che ha già più di un secolo di storia alle spalle. Per molti di noi, la vacanza al mare è ombrellone e sdraio. E un bagnino che veglia sulla nostra sicurezza. Ma l’attività va ben oltre, in termini di servizio e strutture: dal ristorante al parco giochi, dagli spazi per la pratica sportiva alla beauty farm. E la sera, quando il sole se ne va, inizia la festa: aperitivi, musica, ballo.
Lavorare sul mare e in spiaggia è gratificante: parola di operatore. Si sta all’aria aperta, a contatto con persone in vacanza, quindi più allegre del solito. Spesso si lavora in famiglia. Ma c’è anche qualche mito da sfatare. «Si lavora dalle cinque di mattina fino a notte: chi cresce in un “bagno” sa bene come vanno le cose. Non è vero che si lavora solo quattro mesi l’anno e si guadagna tantissimo. L’attività comincia all’inizio della primavera, arriva al top d’estate: ad agosto si fa il 50% del fatturato annuale. Anche se l’incognita maltempo è sempre in agguato. Se piove nei weekend, la gente non va in spiaggia, ma il personale deve essere presente e si paga ugualmente» Il lavoro prosegue anche d’inverno, per la manutenzione. La salsedine non perdona, anche se l’uso di materiali come l’alluminio, più costosi del legno ma più resistenti, sta dando una mano ai gestori. «Gli stabilimenti balneari oggi sono simili a villaggi turistici. Offrono bar, sala benessere, happy hour. Scelgono se orientarsi di più verso i giovani o verso le famiglie. E tarano la loro offerta sul target. Ogni anno il turista vuole novità. E si diffonde tra gestori e clienti l’attenzione all’ambiente, che si traduce in impianti ecologici, riciclo delle acque, riscaldamento solare, gestione differenziata dei rifiuti, disponibilità di biciclette».
Gran parte degli stabilimenti balneari sono stati acquistati con un mutuo: la vendita all’asta del dopo Bolkestein non permetterebbe di dare la giusta valutazione a tutto quello che c’è sopra il terreno demaniale. Sarebbe un danno gravissimo per chi ha investito. Inoltre potrebbero aggiudicarsi le concessioni multinazionali, che snaturerebbero il territorio. Nel bilancio, ci sono da aggiungere lici, sulla costruzione, la tassa sui rifiuti, poi quelle legate al pubblico esercizio