LO STATO ITALIANO PER SALVAGUARDARE LE IMPRESE E VALORIZZARE IL SISTEMA BALNEARE ITALIANO
E’ ormai ampiamente condiviso che il turismo italiano costituisce un settore fondamentale per l’economia nazionale che contribuisce alla crescita complessiva del Paese. Le stime del Piano strategico per il turismo 2017 – 2022 indicano un peso attuale del settore dell’11% circa sul PIL e del 12,5% sull’occupazione mentre le ultime rilevazioni indicano un suo elevato tasso di crescita. Infatti, l’ultimo Report dell’ISTAT del 30 ottobre 2017 sul “Movimento turistico in Italia” evidenzia che nel 2016 si sono registrati 403 milioni di presenze (+ 2,6 % sul 2015) e 116,9 milioni di arrivi (+3,1 % sul 2015) e che “benché i comuni costieri siano meno del 13 % del totale e ospitano il 33,7 % della popolazione italiana, offrono il 56 % dei posti letto e contribuiscono per il 52,7 % al totale delle presenze turistiche registrate nel 2016”. La Direzione generale del turismo del MIBACT ha comunicato, in data 11.09.2017, che per l’anno appena concluso, si è registrato un ulteriore aumento, nei primi sei mesi rispetto a quelli del 2016, del 6 % di presenze e del 4,6 % di arrivi mentre le località marine, nei mesi estivi del 2017 rispetto a quelli del 2016, hanno avuto un incremento delle presenze del 3,5 %: la percentuale più alta insieme alle città d’arte. Incremento che, come si evince dall’indagine “Gli Italiani, il mare e gli stabilimenti balneari” eseguita da “Format Research” va di pari passo con l’alto gradimento ( 94,8 %) che i servizi di spiaggia riscontrano presso la clientela che, in particolar modo, ne valuta positivamente la supplenza nei confronti dello Stato per quelli di carattere generale (72,1 %). E’, pertanto, un dato incontrovertibile che per la parte di gran lunga più rilevante della domanda turistica, nazionale ed estera che si riversa nel nostro Paese, la “vacanza” continua ad essere sinonimo di “vacanza al mare”. In definitiva la balneazione italiana costituisce uno dei settori strategici dell’economia del nostro Paese, fatto soprattutto dalle 30.000 imprese che operano in regime di concessione demaniale, che andrebbe ulteriormente valorizzato. Riscontriamo con soddisfazione che, seppure con funzioni diverse, tutte le forze politiche italiane hanno condiviso la necessità che l’Italia valorizzi il suo sistema balneare, dando certezze agli attuali concessionari.
Contrasta con questi rilievi il colpevole ritardo delle nostre Istituzioni nell’affrontare e risolvere la grave situazione di profondo malessere del settore per un superato assetto normativo causa di contenzioso e di stallo negli investimenti e nell’innovazione. Siamo, ancora una volta, costretti a constatare che il problema della sopravvivenza di queste decine di migliaia di imprese e, con essa, della salvaguardia di un cruciale settore economico del nostro Paese, è lontano dall’essere risolto. Sono trascorsi ben tredici anni dalle prime avvisaglie giurisprudenziali (sentenza del CdS n. 168 del 25 gennaio 2005) e otto anni (D.L. 30 dicembre 2009 n. 194) dalla formale abrogazione della norma che costituiva la fonte di stabilità nel tempo per queste imprese: il cd diritto di insistenza (poi cd rinnovo automatico) delle concessioni alla loro formale scadenza. Abrogazione che ha avviato un lungo periodo di precarietà e che ha causato il quasi totale blocco degli investimenti. Non possiamo non rimarcare con amarezza e preoccupazione che in tutti questi anni (a partire dal 2009) i vari Governi che si sono succeduti (ben cinque!) non solo non hanno risolto il problema ma, nel contempo, hanno impugnato davanti alla Corte costituzionale tutte le leggi regionali (da quella del Friuli Venezia Giulia a quelle dell’Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Campania, Abruzzo, Veneto, Marche, ecc.) che hanno tentato di proteggere i concessionari; da ultimo, l’impugnativa del 12 gennaio 2018 delle leggi regionali della Liguria nr. 25 e 26 del 10 novembre 2017. Tutto questo mentre altri Paesi europei nostri competitori si sono dotati di leggi che hanno dato stabilità e slancio alle attività balneari. Naturalmente la questione più urgente riguarda la durata ed il futuro delle concessioni demaniali marittime ma, come dovrebbe essere ormai noto a tutti, non solo di questo si tratta. Si resta stupefatti nel constatare come questo settore cruciale sia ancora sostanzialmente disciplinato dal Codice della navigazione del 1942 e che il trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni sia stato così parziale e contradditorio da creare sin qui conflitti istituzionali e ulteriore confusione per le aziende interessate. Necessitano di soluzioni innovative un insieme di problematiche: dalle modalità di affidamento delle concessioni alla natura delle opere, dalle delimitazioni dei beni demaniali ai criteri di determinazione dei canoni, dalle fattispecie estintive e modificative alla sovrapposizione di soggetti titolari delle funzioni. Occorre, in altri termini, mettere mano con urgenza ad un’azione riformatrice che assicuri il perseguimento dell’interesse pubblico proprio attraverso un moderno e razionale uso delle spiagge quale importante risorsa economica, oltre che ambientale, del Paese la cui integrità e consistenza, del resto, è stata più volte garantita anche dagli ingenti investimenti delle imprese attraverso Accordi di programma con la Pubblica Amministrazione. 3 E’, pertanto, ormai tempo di riscrivere la parte demaniale del Codice della Navigazione che è diventata obsoleta rispetto al nuovo assetto istituzionale e comunitario, anche al fine di introdurre elementi di semplificazione (DIA, conferenze di servizi, eliminazioni di valutazioni superflue come quelle doganali, ecc.) di procedure amministrative che attualmente ritardano o impediscono ammodernamenti e innovazioni di cui il settore ha costantemente bisogno. In tale riordino è di particolare centralità ed urgenza la salvaguardia delle aziende attualmente operanti nel rispetto di due principi giuridici e di giustizia tanto elementari quanto fondamentali proprio del diritto europeo. In primo luogo la tutela della certezza del diritto e della buona fede di chi ha confidato in un assetto normativo e amministrativo previgente; il cd legittimo affidamento che rischia di essere gravemente leso e offeso se non viene trovato il corretto e giusto rimedio. Lo Stato che, per decenni ha garantito, con le norme e con la prassi amministrativa, costante e uniforme, la continuità delle imprese – degli investimenti non solo di capitali, ma soprattutto del lavoro che ha comportato una vera e propria scelta di vita per decine di migliaia di persone – non può venir meno al suo impegno così solennemente assunto senza un adeguato e giusto rimedio. Ma oltre a tale principio, l’abrogazione del rinnovo automatico rischia di recare pregiudizio anche al diritto sulla proprietà della propria azienda costituzionalmente e comunitariamente tutelato. Infatti, come riconosciuto dall’autorevole giurisprudenza del Consiglio di Stato, “la concessione demaniale costituisce un presupposto indissolubilmente connesso all’azienda tal che il trasferimento di questa comporta anche il trasferimento di quella con la conseguenza che la messa a gara delle concessioni in essere, individuate e valorizzate non dalla Pubblica amministrazione ma dagli attuali titolari o loro danti causa, comporta necessariamente la perdita dell’azienda ivi creata con conseguente suo sostanziale esproprio”. Per cui è miope e sbagliato pensare all’Europa solo come concorrenza e non anche come tutela della certezza del diritto e di salvaguardia della proprietà aziendale. L’evidente ingiustizia che rischia di crearsi induce i balneari italiani ad essere così determinati nella richiesta al Governo, al Parlamento e alle Istituzione comunitarie, di sottrarre le loro aziende dalla pubblica evidenza. E’ inaccettabile che in Spagna le concessioni siano state prorogate di 45 anni e in Portogallo abbiano una durata di 75 anni (per non parlare della Croazia dove hanno una durata di 99 anni) mentre da noi debbano avere una durata di sei anni! E’ indispensabile che il riordino della normativa contenga necessariamente i seguenti principi che peraltro sono ampiamente contenuti nello studio per la Commissione Petizioni “concessioni balneari in Italia e direttiva 2006/123/EC, nel contesto europeo” commissionato dalla Unità Tematica Diritti dei Cittadini e Affari Costituzionali della Direzione Generale Politiche Interne del Parlamento europeo: 4 1. Una diversa più lunga durata delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo (nel minimo pari almeno a 30 anni) al fine di salvaguardare la peculiare caratteristica di gestione familiare della balneazione italiana attraverso la preminenza del fattore “lavoro” su quello del “capitale investito”. Tale nuova durata, in ossequio ai principi costituzionali di eguaglianza e parità di trattamento e nel rispetto del principio del legittimo affidamento, dovrà essere assicurata, anche alle imprese attualmente operanti, con modalità articolate e differenziate così come riconosciuto e declinato dalla sentenza della CGUE del 14 luglio 2016 Promoimpresa; 2. riconoscimento del valore commerciale dell’azienda balneare da trasformarsi in ristoro a favore del concessionario nel caso di una cessione coattiva in favore di terzi così come già riconosciuto dal nostro Ordinamento giuridico, non solo regionale ma anche nazionale, e così come e comunitariamente doveroso a seguito della sentenza della CGUE del 28 gennaio 2016 Laezza (v. art. 37 comma 6 del d.l. 22 giugno 2012 convertito con la legge 7 agosto 2012 nr. 134 dichiarata costituzionalmente corretta con la sentenza della Consulta nr. 28 del 25 febbraio 2014); 3. la modifica dei criteri di determinazione dei canoni demaniali marittimi ex art 1, comma 251, legge 27 dicembre 2006, n. 296 che li renda ragionevoli, equi e sostenibili partendo dall’abrogazione dei valori OMI per i beni pertinenziali; 4. una interpretazione definitiva e moderna al concetto di facile e difficile rimozione così da evitare che le iniziative di incameramento – comunque e a qualsiasi costo in corso da parte di varie Agenzie del Demanio in spregio alla sentenza del CdS n.626/2013 che ne impone l’esecuzione solo allo spirare della concessione e non al rinnovo – esasperino ulteriormente una situazione già di per se pesante con il rischio di dare corso ad un vasto e capillare contenzioso; 5. il superamento della stagionalità nel mantenimento delle opere e delle attrezzature balneari per un utilizzo maggiore e per tutto l’anno della risorsa spiaggia e per evitare il conflitto istituzionale fra Regioni e Sovrintendenze; 6. revisione ed armonizzazione fiscale per le imprese balneari che parta dalla modifica del loro codice ATECO che attualmente non le inserisce nel Turismo, alla conseguente revisione dell’aliquota IVA (oggi al 22% per i servizi balneari) ed anche alla luce della nuova direttiva comunitaria adeguandola a quella stabilita per tutte le imprese turistiche (10%), nonché ad una definizione coerente ed omogenea a livello nazionale delle imposte locali (TARI e IMU). La mancata adozione dei provvedimenti sopra menzionati, con il conseguente esteso contenzioso delle imprese attualmente operanti a tutela dei loro diritti e con il permanere della paralisi negli investimenti, potrebbe pregiudicare definitivamente e irrimediabilmente, non solo qualsiasi prospettiva di crescita turistica del Paese, ma persino il mantenimento degli attuali livelli occupazionali e di mercato garantiti dai servizi di qualità e di eccellenza sin qui forniti. La ferma determinazione dei balneari italiani (che si è manifestata e progressivamente rafforzata nel corso degli ultimi anni in innumerevoli azioni di protesta e di mobilitazione) è dovuta 5 non solo alla insopportabile ingiustizia nei loro riguardi per normative vetuste o frettolose, ma anche alla profonda convinzione che lottando per la tutela dei loro beni, della loro professionalità e del lavoro salvaguardano un fondamentale fattore di competitività e di successo del nostro Paese. Alla luce di queste considerazioni, riteniamo indispensabile una decisa scelta politica e un preciso impegno da parte delle forze politiche che saranno protagoniste nel prossimo Parlamento e Governo a tutela delle imprese turistico ricreative esistenti e a difesa della balneazione attrezzata italiana quale irrinunciabile fattore di qualità e di vantaggio competitivo nel mercato turistico internazionale del prodotto “mare”, superando gli ostacoli normativi e burocratici che impediscono gli investimenti per il suo ulteriore sviluppo.
Fonte Articolo www.sindacatobalneari.it